Descrizione: Ci siamo. Siamo nell’orto. Partiti dal casuale ritrovamento di una bandiera greca a Bologna, scesi dall’auto. Le connessioni si sono dirottate vicino alla storia, al teatro, alla memoria sbiadita. Aristofane e i falsi miti di guerre in parole. E allora siamo andati all’indietro, dove regna l’incerto, l’opaco racconto. Ci siamo andati col dubbio di non sapere cosa avremmo trovato oltre ai visi, agli uomini caduti, agli accadimenti con solo una data, Siamo andati a vedere cosa c’era nelle fotografie di un archivio storico. quella di morte. Abbiamo trovato molto. Abbiamo rivoltato la carta, la fotografia, scoperto mondi, astrazioni e numeri, anche in luce tremenda. Chiedendo i testi trascritti, abbiamo capito che sono più potenti delle immagini degli uomini ritratti. Ma non volevamo solo sapere cosa vi era scritto, non ci bastava raccontare una storia tra le tante ma rimarcare il vuoto. Quel vuoto. Volevamo annullare la vista dell’essere umano, quella che queste fotografie tornate da guerre, consegnano ai familiari in una cartolina Per rimarcare il tempo, abbiamo ammesso il gesto. L’agito che punge, il teatro appunto. Un battito al petto ogni 4.6 secondi, calcolo di distanza temporale per ogni caduto, negli anni sommati delle due guerre mondiali. Antico gesto dove Giobbe trova il conforto di avere un corpo e il timore di non avere Dio dalla sua parte. E poi la materia. Come cippi senza fotografie, come un cimitero di lapidi sempre più neutre nei tempi. L’inciampo dello scandalo andato perduto. Ecco cosa desideriamo fare: mettere in difficoltà chi vuole vedere e vederci. Senza visi, senza sguardi, con parole poco leggibili come tutta la storia, e una luce stroboscopica a sigillare la visione difficile. ascoltata. Un piccolo vuoto d’aria colmato da parole germaniche che sostengono la realtà della prigionia, e nomi e chiamate all’amore. 14 fotografie, tra rane e rose seccate, tra pietre di una trincea italiana e 14 cippi bianchi come la neve, azzurri come il cielo, rossi come Latta, seconda guerra mondiale, Canada, come vi è scritto sotto. Dentro una voce, Paul Celan flebile, da avvicinare per essere Parole per uomini privati d’identità, come stiamo tornando ora, appassendo alla tastiera come me. 2.19 di un Lunedì quasi mattina. il sangue. E una scatola. Bianchi come latte di giorno. Oscuri come la luce notturna. Null_ è uno zero, come noi, Gianni e Giovanna. E le donne? Ci saranno in noi, portatori di gonne al generare d’azione. Portatrici di dolore, portatrici di vita. Come ora, sempre.

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Descrizione: Ci siamo. Siamo nell’orto. Partiti dal casuale ritrovamento di una bandiera greca a Bologna, scesi dall’auto. Le connessioni si sono dirottate vicino alla storia, al teatro, alla memoria sbiadita. Aristofane e i falsi miti di guerre in parole. E allora siamo andati all’indietro, dove regna l’incerto, l’opaco racconto. Ci siamo andati col dubbio di non sapere cosa avremmo trovato oltre ai visi, agli uomini caduti, agli accadimenti con solo una data, Siamo andati a vedere cosa c’era nelle fotografie di un archivio storico. quella di morte. Abbiamo trovato molto. Abbiamo rivoltato la carta, la fotografia, scoperto mondi, astrazioni e numeri, anche in luce tremenda. Chiedendo i testi trascritti, abbiamo capito che sono più potenti delle immagini degli uomini ritratti. Ma non volevamo solo sapere cosa vi era scritto, non ci bastava raccontare una storia tra le tante ma rimarcare il vuoto. Quel vuoto. Volevamo annullare la vista dell’essere umano, quella che queste fotografie tornate da guerre, consegnano ai familiari in una cartolina Per rimarcare il tempo, abbiamo ammesso il gesto. L’agito che punge, il teatro appunto. Un battito al petto ogni 4.6 secondi, calcolo di distanza temporale per ogni caduto, negli anni sommati delle due guerre mondiali. Antico gesto dove Giobbe trova il conforto di avere un corpo e il timore di non avere Dio dalla sua parte. E poi la materia. Come cippi senza fotografie, come un cimitero di lapidi sempre più neutre nei tempi. L’inciampo dello scandalo andato perduto. Ecco cosa desideriamo fare: mettere in difficoltà chi vuole vedere e vederci. Senza visi, senza sguardi, con parole poco leggibili come tutta la storia, e una luce stroboscopica a sigillare la visione difficile. ascoltata. Un piccolo vuoto d’aria colmato da parole germaniche che sostengono la realtà della prigionia, e nomi e chiamate all’amore. 14 fotografie, tra rane e rose seccate, tra pietre di una trincea italiana e 14 cippi bianchi come la neve, azzurri come il cielo, rossi come Latta, seconda guerra mondiale, Canada, come vi è scritto sotto. Dentro una voce, Paul Celan flebile, da avvicinare per essere Parole per uomini privati d’identità, come stiamo tornando ora, appassendo alla tastiera come me. 2.19 di un Lunedì quasi mattina. il sangue. E una scatola. Bianchi come latte di giorno. Oscuri come la luce notturna. Null_ è uno zero, come noi, Gianni e Giovanna. E le donne? Ci saranno in noi, portatori di gonne al generare d’azione. Portatrici di dolore, portatrici di vita. Come ora, sempre.
Tecnica utilizzata: Progetto installativo a cura di Collettivo Instabile Morelli Mazzesi composto da fotografie, cippi d’intralcio in gesso e pigmenti, scatola in latta, audio, diapositive ed oggetti ritrovati.

Installation project by Collettivo Instabile Morelli Mazzesi consisting of photographs, stone blocks in plaster and pigments, tin box, audio, slides and found objects.
Anno di produzione: 2017

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Tecnica utilizzata: Progetto installativo a cura di Collettivo Instabile Morelli Mazzesi composto da fotografie, cippi d’intralcio in gesso e pigmenti, scatola in latta, audio, diapositive ed oggetti ritrovati.

Installation project by Collettivo Instabile Morelli Mazzesi consisting of photographs, stone blocks in plaster and pigments, tin box, audio, slides and found objects.
Anno di produzione: 2017

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Maria Giovanna Morelli

BIO BIO BIO

Maria Giovanna Morelli (1978, Ravenna) si è laureata in Ingegneria Edile Architettura a Bologna. Gli studi svolti le permettono di spaziare tra diversi medium e materiali.

Nel suo lavoro si confronta spesso con le pratiche installative dove il rapporto con lo spazio diventa fondamentale, senza tralasciare le tecniche più tradizionali delle arti visive come la pittura, il disegno e la ceramica.

Il suo lavoro è stato esposto in diverse occasioni in mostre e premi nazionali; nel 2019 e 2017 è selezionata per Arte Laguna Prize a Venezia, nel 2019 è tra i finalisti del Combat Prize in mostra presso il Museo Fattori di Livorno.

Nel 2022 prende parte al workshop/residenza promosso da RAMO e Untitled Association “Ritratto a Mano 7.0” con Monica Lundy e Daniele Puppi presso l’ Ex Convento delle Clarisse di Caramanico Terme. 

STATEMENT STATEMENT STATEMENT

Il lavoro artistico di Maria Giovanna Morelli oscilla tra un immaginario grottesco e mostruoso ed un mondo più fiabesco di figure morbide e colori tenui. Forme talvolta ambigue che accennano ad un erotismo velato e mai esplicito. Il rimando al corpo umano nasconde spesso un approccio ironico, che a volte approda ad un chiaro cinismo e permea tutta la sua produzione.

Tra i temi fondamentali che attraversano gran parte della sua ricerca artistica troviamo la famiglia, la maternità e spunti autobiografici.

Facilmente leggibili nella pittura dove campeggiano figure che diventano talvolta masse informi e carnose, altre volte corpi di bambini che giocano in ambienti geometrici e piani che attraversano lo spazio domestico. 

Protagonista assoluto sia nella produzione pittorica che nella scultura è il colore. Nella pittura è usato come materia per creare masse e campiture che fuoriescono dallo spazio in accordi azzardati forti, mentre nelle piccole sculture diventa elemento decorativo e l’accordo tonale si fa gentile ed elegante.